Assistenza sociale, famiglie italiane vulnerabili
Il rischio di un collasso sociale
La necessità di intervenire sulla spesa pubblica, il progressivo mutamento dei bisogni sociali e l’evoluzione demografica del Paese hanno messo in affanno il sistema, lasciando aperte molte questioni che in breve tempo sono diventate emergenze. In particolare, se nel 2020 è stato riservato alla spesa sanitaria pubblica il 7,4% del Pil, nel 2026 si prevede che sarà solo il 6,1%; le strutture residenziali socioassistenziali e sociosanitarie attive sono 12.576, con un’offerta di circa 414.000 posti letto (7 ogni 1.000 abitanti), la disponibilità più alta è al Nord-Est con poco più di 1.000 posti letto ogni 100.000 abitanti; se oggi gli over 65 sono il 24,0% della popolazione (nel 1961 erano il 9,5%) e il 63,5% le persone in età lavorativa (15-64 anni) (nel 1961 erano il 66,0%), nel 2050 si prevede che gli anziani saranno il 34,5% e i 15-64enni saranno meno del 55%. Inoltre, 6,8 milioni di pensioni sono sotto i 1.000 euro mensili.
L’assistenza ed i bisogni dei caregiver
Guardando ai bisogni di assistenza in una prospettiva di lungo termine, il 58,7% delle famiglie considera prioritaria l’introduzione della deducibilità del lavoro domestico. Per il 46,3% è, invece, necessario attivare servizi di assistenza domiciliare a supporto dei non autosufficienti, mentre per il 18,0% è importante semplificare le procedure per accedere ai servizi di assistenza (in particolare quella della valutazione di non autosufficienza) e per il 15,4% è necessario sostenere il ruolo di chi in famiglia si fa carico dell’assistenza di un familiare. Non a caso, il 49,1% dichiara di occuparsi personalmente, da caregiver, di un parente non autosufficiente, una figura non alternativa alla badante ma integrativa. Per il 42,4% l’aspetto più critico dell’assistenza è la fatica fisica e lo stress che deriva dal far fronte ai tanti bisogni della persona assistita. Molto importanti sono anche i condizionamenti della quotidianità, spesso assorbita in maniera quasi assoluta dalle cure all’assistito e la rinuncia a una vita relazionale e autonoma (24,7%). Il 16,4% sottolinea, invece, la mancanza di un reale riconoscimento del ruolo del caregiver da parte delle istituzioni e la mancanza, quindi, di un compenso economico al lavoro svolto. Poco sopra l’8% si colloca chi ha dovuto abbandonare o ha dovuto trascurare il lavoro o comunque l’attività da cui discende il reddito del caregiver. Il 6,7% è invece preoccupato di poter arrecare danno all’assistito, non avendo il caregiver le competenze necessarie ai vari interventi che è chiamato a fare.
L’incertezza per il futuro
Sul piano delle prospettive future, il 40,7% delle famiglie giudica non proprio sicuro il proprio livello di risorse economiche e teme che le disponibilità in termini di reddito, patrimonio e risparmi possano non essere sufficienti nel caso di imprevisti. Completamente insicuro si dichiara, invece, il 12,5%, che sa che eventuali imprevisti potrebbero mettere la famiglia in seria difficoltà. Nel bilancio fra fattori di protezione – welfare pubblico, coperture assicurative, altre forme di autotutela personali di cui si dispone – e fattori di rischio futuri, è proprio l’inabilità e la non autosufficienza a raccogliere il maggior grado di rilevanza (64,6%). Le malattie e la necessità di dover ricorrere a prestazioni sanitarie occupano il secondo posto nella scala del rischio (con il 51,2%), mentre la diminuzione dei redditi e del tenore di vita negli anni della vecchiaia preoccupa prioritariamente il 35,0%. A seguire, la morte di chi è il principale portatore di reddito in famiglia rappresenta, nell’ordine, il quarto fattore di rischio più temuto, al quale si aggiunge la perdita del lavoro, la disoccupazione e la conseguente riduzione del reddito.
Fonte: Censis
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